Di Marco Osti
Da quando seguo la F1, nel 1981, a parte l’essere innamorato di questo sport, non mi sono mai fermato ad una etichetta prestabilita o al fatto che, essendo italiano dovevo bla bla bla.
Ho sempre cercato quel qualcosa in più che un pilota potesse trasmettermi. Così è stato per un paio di loro fino al 1994. Da lì in poi un lungo vuoto. Certo, avevo ‘preferenze’ ma mai una questione di ‘cuore sportivo’. Forse sono ancora un romantico di uno sport che invece esclude questa sfera emozionale. Un lungo vuoto, dicevo, sino all’arrivo di Robert Kubica.
Li sono tornato a ‘tifare’, ad esultare e temevo di aver perso ancora una mia bandiera sportiva.
Tutto quello che è successo fino alla riconquista di un abitacolo nella massima serie mi dimostra che non avevo sbagliato sulla persona, sul pilota. Il punto conquistato domenica non ha importanza come sia arrivato.
È una vittoria clamorosa a livello personale ma anche per chi non ha smesso di credere in lui, fidandosi ciecamente proprio sul carattere e la voglia di rimettersi in gioco dopo così tanto tempo. A questo punto perché mai non dovrei credere che sia un punto di partenza per altre soddisfazioni? “.
Foto: ufficio stampa Rokit Williams Racing