La depressione nel motociclismo – Cris Favero “Colpisce prevalentemente i piloti senza ingaggio”
Parole pesanti come macigni. Anthony West a novembre ci ha parlato di doping e di depressione. Sono due argomenti distinti, spinosi, che meritano però di essere affrontati.
Indipendentemente dalla situazione specifica di West: esiste il doping nel motociclismo? Esiste la depressione nel motociclismo?
Parliamo ora di depressione tra i piloti, un tema tabù. La vita dei piloti dall’esterno sembra stupenda: belle donne, moto, viaggi, hotel, autografi… Sono tutte stelle o c’è anche il buio più profondo?
Cerchiamo di non banalizzare l’argomento perché la depressione è una grave patologia e come tale va trattata. Per motivi di privacy non facciamo i nomi dei piloti che ne hanno sofferto ma in questi anni due ex piloti si sono tolti la vita ed è di dominio pubblico.
Affrontiamo questo argomento con Cris Favero, per anni Team Coordinator nel Motomondiale e nel Mondiale Superbike.
“I piloti iniziano a gareggiare da bambini – esordisce Cris – salgono in minimoto a 5 anni e la loro vita è da subito incentrata sul motociclismo. Molto spesso trascurano gli studi ed iniziano a gareggiare ad alti livelli da adolescenti”.
Quando vincono i piloti sembrano un po’ come sulla giostra di un luna-park. Se però si entra nei loro motor-home può capitare di vederli in lacrime: lo stress in certi momenti è veramente forte. Finché gareggiano di solito riescono, comunque, a gestirlo. Cosa succede però verso i 25 anni?
“Se non hanno sfondato tutto diventa difficile. Non sono più i ragazzini coccolati ma sono uomini che si interrogano sul futuro. Se a livello giovanile hanno vinto molto, quando si trovano senza ingaggio vanno in crisi. Si rifiutano di dover pagare per poter gareggiare, di dover cercare sponsor per proseguire la carriera. A volte, pur di non pagare per correre, lasciano le competizioni o si prendono una pausa. Alcuni hanno delle alternative di vita ma per altri è un autentico dramma”.
Può spiegarci meglio?
“Cambia totalmente la loro vita, perfino l’alimentazione visto che non devono seguire più un regime dietetico. I genitori che avevano girato il mondo con i figli si trovano a casa, gli equilibri famigliari vengono messi a dura prova e sono frequenti i divorzi. Spesso quando i piloti lasciano l’attività perdono anche la fidanzata perché molte, per fortuna non tutte, sono innamorate del campione più che del ragazzo. Non hanno più i fans che li fermano per le foto o gli autografi, i giornalisti che li chiamano per le interviste. Perdono buona parte degli amici, dei loro riferimenti. Spesso devono perfino elemosinare un pass per entrare nei circuiti, per assistere a gran premi che magari in passato avevano vinto. Per loro è estremamente umiliante. I piloti senza ingaggio si trovano spesso soli e smarriti, con davanti un futuro da costruire ma senza averne le basi, un po’ come se fosse crollata la terra sotto i loro piedi. A 25 anni si chiedono “adesso cosa faccio?” Sono problemi molto seri”.
L’assenza di meritocrazia dunque è una delle piaghe principali del motociclismo?
“I team devono sostenere delle spese esorbitanti e spesso sono costretti a chiedere gli aiuti economici ai piloti. Tante volte va avanti chi ha più soldi e non chi ha più capacità, creando una miriade di problemi a dei ragazzi talentuosi che avevano investito tutta la loro vita sul motociclismo. Servirebbe un intervento deciso dall’alto, una drastica riduzione dei costi per consentire ai migliori di emergere e fare in modo che il motociclismo possa tornare ad essere uno sport. Uno sport nel vero senso della parola”.
Marianna Giannoni